NIMN (notinmyname)

Mi attribuiscono cose.

Ah, già, giusto. Non scrivevo da un anno. Perché? Non so. Fine delle spiegazioni.

Mi attribuiscono cose. Stavo per dire “pensieri”, ma no, son proprio “cose”: pensieri da cui discenderebbero cose da fare. Che non faccio. Non faccio mai “cose” che mi attribuiscono. Salvo quando ho un capo al lavoro. Che non ho mai avuto (gigantesca botta di culo. O scelta consapevole ed economicamente autolesiva. Boh).

Mi attribuiscono un’appartenenza politica da cui discende un’idea sull’amore da cui discende la necessità di definire e definirmi, da cui discende l’opinione che a me faccia piacere scrivere, andare, militare, pubblicare. Solo che io non scendo. Di solito salgo. Non ho mai sopportato le deduzioni.

Mi attribuiscono anche desideri, conseguenze logiche, capacità di un qualche tipo in ambiti che nemmeno si immaginano. Da cui discendono richieste più o meno esplicite, da cui discendono aspettative disattese, da cui discendono musi lunghi. La questione è sempre e comunque la precedente. Io salgo. A volte saltellando, altre – non rare – arrancando.

Negli ultimi anni ho avuto spesso il fiato corto. E il respiro anche. Mannaggia allo zucchero. Ma soprattutto al mio ostinato guardarmi gli alluci. Non andavo in montagna, io, perché pensavo che in montagna si dovessero sempre guardare i propri piedi. Ho alzato la testa e mi si è ampliato l’orizzonte, il respiro, il cuore. Soprattutto il cuore.

Ho scoperto che posso salire. E pure che sono una persona felice. Da dentro a fuori, e non viceversa. Da quando l’ho scoperto, poi, le persone felici (o in direzione dell’esserlo) mi sono precipitate addosso come se fossimo calamite. E altre sono finite lontane, incapaci di tornare a due passi. Le mie parti buie che vogliono stare alla larga, mi viene da pensare, e dunque quel che risuona in direzione “buio, freddo e lamentoso”, non riesce più a far presa, mi scivola addosso come un pesce sfuggito all’amo. Viva i pesci.

Dunque salgo. Non tiratemi giù. Non mettetemi fretta perché volete prendervi la mia forza. E’ lì, ma non per esser presa. Solo per rispecchiare quella che hanno tutti.

Voglio fare molte cose, e non è un caso che ci pensi oggi che è un po’ un primo giorno di scuola (beh, sarebbe il secondo, forse, da calendario, ma io arrivo sempre un attimo dopo, persa come sono dietro alle farfalle). C’è chi mi vuole con sé, per la deduzione suddetta. E c’è chi mi ricorda di riposare, che sono malata, che bla bla zzzzz… bzzzz… Fastidioso rumore di fondo. Non sono più il ciclone che ero. Se ne accorgono e reagiscono in due maniere: la prima è suggerire che tra le tante cose da lasciare, sicuramente la loro va preservata perché è tra le più importanti. Oppure vogliono tenermi ferma.

Farò quel che sceglierò, scusatemi tutti moltissimo. E forse chiuderò questo spazio. O lo lascerò lì per un anno ancora. O fino alla prossima volta in cui ritirerò esami clinici che dicono quel che mi aspettavo dicessero, e non quel che si aspettavano gli altri.

Pace, Libertà, Sovversione. Che poi vuol dire buon anno, alla fine.

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