Non ci riesco.

Ho visto un film sulla bellezza, ma credo che parlare della bellezza proprio non si possa. E’ stato come vedere qualcosa di emozionante, disturbata da un chiodo costantemente trascinato su una superficie liscia.

Ho comprato scarpe divertenti, anche. E alimentato il divertimento con i commenti degli amici. Aspetto, per completare il quadro, quel che dirà mia madre.

Ho goduto del sole a Milano. Milano con il sole è bellissima, ma non so perché, altrimenti saprei parlare della bellezza e mi piacerebbe molto il film che ho appena visto.

Della mia bellezza non so nulla. Non so perché la veda, chi la vede. E non so – e questo mi fa impazzire – quando e come succeda che le stesse persone smettano di vederla.

Ho sempre creduto che smettiamo di vedere la bellezza dove insorge l’abitudine, e che sia per questo che amiamo l’arte. Per orrore dell’abitudine ho modificato il mio corpo, modifico i vestiti, i toni, gli oggetti. Per orrore dell’abitudine consumo incontri ma anche – e il piacere dura più a lungo – provo a rinnovare le relazioni, a negoziarle, a renderle speciali perché la persona che ho davanti, se ho voluto incontrarla, la considero speciale.

Ho orrore dell’abitudine e mi ritrovo in trappola dentro a un’abitudine. Ieri ho guardato un’amica pranzare e mi sono chiesta come mai non si facesse un’iniezione, prima del primo boccone. Semplice. Non le serve. Lei non ha bisogno di avere queste abitudini, anche se posso supporre che ne abbia altre, altrettanto essenziali, e allora forse poco cambia.

A me non ne avevano installate, di abitudini. I have no habits: l’ho detto decine di volte a chi si è trovato a viaggiare con me. E forse sono stata interpretata come un “Non ti preoccupare, mi adatto”. Non è così. Io non mi adatto mai, io sono scomoda per definizione. Io non lascio perdere, non trascuro, non aspetto che il tempo curi le ferite. Il tempo non cura niente, sono solo cazzate: il tempo manda a fondo il sintomo e lo cronicizza, se non fai qualcosa per reagire.

Mi hanno installato un’abitudine, e per molti mesi mi hanno indotta alla disciplina. Ho fatto tutto quello che mi hanno suggerito, ma non basta. Non mi basta più. Voglio che il corpo e la mente reagiscano, voglio che l’anima si svegli.

Oggi non ci riesco. Inseguo il solito schema di un telefono che squilla a vuoto e aspetto sapendo che accadrà che verrò richiamata quando tutto il rumore di fondo si sarà spento e dall’altro capo dell’etere sarà chiaro che io non sono più tanto arrabbiata da perturbare il sistema.

Oggi non ci riesco, ma ci voglio riuscire, ad emergere da queste coperte con uno schema differente che butti un sassolino nel sistema. Voglio che estrarre la siringa sia ogni volta un atto consapevole, così come camminare, piangere o scopare. Che il corpo resti vivo. Con l’anima e con la mente. Certo sarebbe più facile accendere un metronomo. Perché oggi non ci riesco.

Ma guardo avanti, provo a chiedermi se mi vedo dentro a una bellezza calma, ordinata. E non ci riesco.

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