Archivio mensile:febbraio 2014

Conta il respiro

Mi era sembrata una bella idea: “Nella vita non contano i respiri, ma i momenti che ti hanno tolto il respiro”. Non cercherò chi l’ha detta, ché tanto ho cambiato opinione. Ora che ho provato così tante volte la sensazione di non poter respirare, capisco che è mettere in fila i respiri, ciò che conta. Ciascuno prezioso e da vivere a fondo. Anche quando giri come un pesce nella boccia. Che la sorpresa è dietro l’angolo e i sentieri tra le fronde prima o poi spalancano un orizzonte inaspettato. Zuccherosa, stasera. Devo farci attenzione, che qua si rischia l’iperglicemia.

Mi dicono di una tecnica di respirazione – buteyko, si chiama – che consiste nel trattenere l’aria dentro di sé perché i polmoni possano diventare più elastici, costretti nello sforzo di trattenere. E molte altre cose, da leggere sui libri di chi le sa dire.

Trattenere. Non lasciare sempre e comunque andare. Pare essere la hit del momento, per me. Persino la dottoressa mi ha detto che devo imparare a trattenere qualcosa per me, a non essere sempre intenta a mettere in circolo le energie, ma a conservarle. Ha detto “Non si vede, ma tu sei malata”.  Inizialmente, io di questa frase registro solo che ha cominciato a darmi del tu. E che sta parlando di qualcosa che non è scritto nel foglio che riporta i valori dell’emoglobina glicata e cose del genere. Ma poi mi infastidisce, che dica che sono malata. Eppure lo sapevo già. Perché mi disturba? E mi viene in mente di quando da bambina (ho scoperto poi che lo pensano un sacco di bambini, ma io mi sentivo molto colpevole, allora) desideravo essere malata, quando volevo attirare l’attenzione. Adesso invece non mi va. Sarà che nel frattempo ho scoperto che ci sono modi molto meno dolorosi, per stare al centro della scena. Chissà.

Mi disturba che c’è una prospettiva da ribaltare. Un’altra? No, forse è sempre la stessa, solamente che io credevo si trattasse di ribaltare una medaglia, e invece man mano che vado in profondità scopro che tra le mani ho un prisma con tantissime facce, e ognuna ha il suo riflesso, il suo spigolo da smussare, la sua scoperta da celebrare.

Ricevere e trattenere. Per me che ho subito l’educazione del dare e dell’esibire.

Trattenere il respiro al posto di sbuffare.

Allargare i polmoni e alzare lo sguardo. Non più cercare di occupare uno spazio più piccolo e contrarre per scattare.

Mostarsi in piena luce. Contare i respiri che riusciamo a trattenere. Uno. Uno, due. Uno, due, tre. Siamo al tempo del valzer. Uno, due, tre, quattro. E poi soffia. Che ritmo sarà? E intanto imparo a correre più veloce, a percorre una distanza più lunga.

Mi fermo. Ho le gambe spaccate ma il cuore contento. Controllo sul reflettometro quel famoso numerto che dovrebbe stare sotto al cento. Funziona.